mercoledì 8 maggio 2013


Qualche giorno fa sono stato a Lamoli di Borgo Pace con alcuni ragazzi delle scuole superiori di Urbino, per un laboratorio di cinema. Quattro giorni molto belli, durante i quali, tra le altre attività, abbiamo fatto molte riprese.
Lamoli è un centro davvero piccolo, sospeso tra Marche, Umbria e Toscana. Silenzioso. Dilatato. Passeggero. In alcuni momenti il suo ritmo mi ha ricordato quello che ascoltavo a Srebrenica, qualche anno fa: la stessa attesa, la cadenza regolare del passaggio di qualche auto, ogni tanto. Le colline intorno, un po’ cupe, a difendere e imprigionare le case. In cima alle colline gli alberi tesi, come i guerrieri di Kurosawa che si apprestano alla battaglia. Eppure il rumore di fondo era diverso, necessariamente. A Srebrenica è impossibile ripulire lo sguardo dal cono d’ombra della guerra.
Avevo pensato di riprendere questo ritmo, questa lentezza.
Ho assistito, non visto, ad una scena del tutto ordinaria. Un ragazzo di colore si è avvicinato alla porta di un’abitazione. Ha bussato, una donna anziana gli ha aperto. Lui ha riproposto il suo solito discorso di richiesta-offerta, ma dopo tre parole l’altra ha richiuso la porta. Il ragazzo è rimasto fermo qualche istante, poi si è guardato intorno. Non era scosso né rassegnato. Sicuramente gli capiterà molto spesso una reazione del genere. Finalmente si è mosso, camminando verso la strada con il passo morbido dei giocatori di basket. Nient’altro. Ho pensato che se avessi avuto con me la videocamera avrei potuto filmare questo inutile evento, questo accidente effimero nella storia universale. Poco interessante, senza morale. (Quella sull’integrazione degli immigrati esigerebbe fatti ben più consistenti e succosi di questo). E poi non era il significato morale ad attrarmi. Mi colpiva il ritmo della scena, e come questo ritmo si sciogliesse armonicamente in quello generale del contesto, nella sinfonia discreta di questo centro abitato.
Ma la videocamera era in albergo. E anche se l’avessi avuta con me forse non avrei filmato.
Per paura, per pudore. Per vergogna, imbarazzo. Puntare l’obiettivo contro qualcuno mi mette a disagio. Non so cosa accada ad altri che fanno questo lavoro: a dire il vero, sento parlare poco di questo disagio. Non è un gesto innocente, o almeno io non lo avverto così. Filmare gli attori che recitano un copione che tu gli hai assegnato attenua questo pudore, ma modifica anche il piacere di sorprendere l’imprevisto. Riprendere visi, gesti, rumori, eventi casuali, per strada, non ha lo stesso sapore di costruire una scena, in un contesto scenografico controllato, con azioni preventivate in modo più o meno dettagliato. Non è più bello: è diverso. Ma questo piacere si accompagna all’ansia, alla vergogna.
Il mio amico fotografo Alessandro un giorno mi ha detto: “Il vero reporter usa il grandangolo, non il teleobiettivo. Col teleobiettivo ti tieni a distanza”. Ecco, se l’affermazione di Alessandro è vera (ed è probabile che lo sia), io non sono un reporter.
Forse si dovrebbe correre all’indietro, sul filo dell’evoluzione, e recuperare ciò che giace al di sotto della macchina da presa, al di sotto dell’atto del guardare, del registrare. L’arma tesa contro l’altro di cui ho già parlato nella prima pagina del blog. Il desiderio di appropriazione, peccaminoso, illecito. Blasfemo.
Ho letto, qualche tempo fa, un bell’articolo di Sylvie Rollet, Lo scudo di Perseo: le figure del doppio in “Viaggio a Cytera” di Anghelopulos. L’autrice confronta lo schermo cinematografico con lo scudo che Perseo adopera per uccidere la Gorgone. Ucciderla evitando di incrociarne lo sguardo mortale. Colpirla nel suo riflesso, per non guardarla direttamente.
Quando lo scudo che ci difende dall’occhio di Medusa – e dal nostro stesso desiderio –  è lucidato con troppa cura, e la sua superficie è levigata fino al minimo grado di opacità, allora c’è il rischio di dimenticare che si tratta di un riflesso, confondere l’alterità con l’identità. Fraintendere il proprio potere.
Forse è proprio in quel caso che si manca il bersaglio. E la Gorgone è già altrove.

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